L’amore sacro e l’amor profano. Ricordando Fabrizio De André

«Cosa avrebbe potuto fare alla fine degli anni Cinquanta un giovane nottambulo, incazzato, mediamente colto, sensibile alle vistose infamie di classe, innamorato dei topi e dei piccioni, forte bevitore, vagheggiatore di ogni miglioramento sociale, amico delle bagasce, cantore feroce di qualunque cordata politica, sposo inaffidabile, musicomane e assatanato di qualsiasi pezzo di carta stampata? Se fosse sopravvissuto e gliene si fosse data l’occasione, costui, molto probabilmente, sarebbe diventato un cantautore. Così infatti è stato ma ci voleva un esempio.» (Fabrizio De André)

Chi meglio di Fabrizio De André poteva descrivere se stesso! Sono trascorsi 20 anni da quando il cantautore genovese è morto all’età di 58 anni (Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999) a causa di un cancro al polmone. Le sue ballate, che traboccano di parole sensate, raccontavano e raccontano storie di persone e personalità, di luoghi, di sensazioni.

Il concerto del Vox Phoenicis vuol presentare una sintesi della sua produzione cantautorale in una versione “classica” per coro e pianoforte grazie agli efficaci arrangiamenti di Mauro Zuccante, anche per sdoganare la musica pop e consegnarla al repertorio polifonico.
Un dialogo difficile quello tra musica colta e musica popolare fatto di scontri a causa di diversi modi di concepire la struttura musicale e, spesso, di invidie a motivo del diverso favore nutrito dal pubblico per un genere rispetto ad un altro. Ma quando un bravo musicista come Mauro Zuccante riesce, con gusto e sapienza, a leggere la musica pop ampliandone le possibilità espressive, allora l’orizzonte cambia e si costruiscono ponti fino a quel momento inesistenti se non impossibili. Zuccante ha incontrato De André e lo ha reso a portata di tutti: di chi ama la versione originale e di chi desidera qualcosa di più.
Un inaspettato e provvidenziale amore per il “sacro” che sposa il “profano”.

 

 

Cinzia Chitarroni, “Faber” (tecnica mista su cartoncino)
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